diario di cammino di Gabriella Bellenzier (ottobre 2004) |
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17 ottobre: Santiago. Acuario, Dormitorio di S. Lazzaro Come deciso partiamo alle 6, sempre sotto la pioggia. Civette che si chiamano, lepprotti spaventati dalle nostre pile e andiamo verso la meta. Le luci dell’aeroporto ci aiutano a seguire la strada giusta. Peccato che sul Monte de Gozo ci sia la nebbia. Da lassù si dovrebbe vedere Santiago. C’è una piccola chiesetta dedicata a S. Marco. Una preghiera e poi via. Ecco Santiago! Pullman di turisti che smontano tutti bardati di bastoni e conchiglie. Ti sfrecciano davanti per prendere posto in Catedral e il pellegrino vero, dopo tutto il suo camminare, deve stare in piedi. Comunque vado col solito passo. Lo zaino pesa. Piove di nuovo e sto calpestando le vie di questa città insieme a diecimila persone che partecipano alla maratona annuale. A dire la verità non mi dispiace. Sono nel mio, e così con quella scusa arrivo nella piazza dell’Obradorio per una via secondaria, dirottata dalla guardia civil. La chiesa è già piena, anche se mancano due ore alla messa, ma trovo un posto… in piedi. Magnifico, proprio davanti. Vedo pellegrini dappertutto, persone che non vedevo da giorni. Ci salutiamo con piccoli cenni per non rovinare la magia tanto attesa di questa catedral. Abbraccio la Silvia. Abbiamo condiviso le difficoltà del Alto do Polo, bufera di vento e pioggia per sei ore… la sera è arrivata al rifugio dopo di me, non c’era posto per lei e così abbiamo condiviso il mio letto. Non abbiamo dormito, ma per questa “cica” sono stata come S. Martino che ha diviso il mantello! Poi a mezzogiorno comincia la messa. Celebra il vescovo di Santiago. Tutta presa non cerco più nessuno! So che troverò i miei amici all’uscita. Canti gregoriani e spagnoli creano un’atmosfera strana e bellissima. Sarà anche la stanchezza, sarà che fuori c’è un temporale spaventoso e qui mi sento al sicuro… io sono felice! Cerco di ricordarmi di tutti. La cerimonia continua. Tutti con la bocca aperta a seguire le evoluzioni del botafumeiro. Le cupole, l’altare del Señor Santiago sono avvolti dall’incenso insieme a noi e tutti i santi. Guardo l’altar maggiore. Per me non ho chiesto nulla, perché essere arrivata fin qui a piedi mi sembra già tanto! Con fatica esco dalla chiesa. Mi faccio largo in mezzo alla folla che sosta sotto il Portico della Gloria, ora non per devozione ma perché fuori alle 14 è tutto buio e una pioggia strana cade con folate di vento. Vado in mezzo alla piazza. Si accendono le luci e vedo i miei amici: Nelly e Pascal, Natia e Heinz. Baci e abbracci e una miriade di arcobaleni. La pace arriva al mio cuore e capisco che questa era la grazia che mi stava preparando el Señor Santiago. In Spagna si dice: “Es el Misterio!” non ci sono progetti tra di noi. Chissà se le nostre frecce gialle s’incontreranno ancora! Intanto bisogna pensare all’albergo. Nelly e Pascal sono partiti a piedi da Marsiglia e si concedono l’hotel. Io vado con i pellegrini, ma non subito. Sempre sotto la pioggia, senza ombrello perché il vento me l’ha portato via ancora una volta, vago per la piazza. Sotto la Porta Santa del Perdon arrivo dopo mezz’ora di fila. Quest’acqua colorata mi fa compagnia e alimenta l’emozione di poco fa. Entro e abbraccio la statua di Santiago. Lo ringrazio. È tutto così strano. Mi sembra di parlare ad alta voce con una persona viva! Decido che per oggi le emozioni possono bastare. Per l’albergue Acuario bisogna ritornare sui propri passi per 3 km. Da sola, in questa città così sognata e attesa, cammino piano. Anche qui tracce di medioevo, scorci storici e romantici. Stanno arrivando ancora colorati pellegrini. Ormai non hanno fretta. Per la messa solenne dovranno aspettare mezzogiorno di domani. Hola! Ci salutiamo. Mi chiedono per andare alla Catedral ed io, che sono arrivata questa mattina, indico loro la strada, ora priva di segnaletica gialla. Sento il peso dello zaino. Chissà se avrò un letto. Non accettano prenotazioni: è una regola del Camino. In uno stanzone di 50 posti c’è anche un letto per me. Finalmente metto giù lo zaino. Doccia calda tanto desiderata e vado al meritato riposo nel mio sacco a pelo. Festeggerò questa sera: appuntamento nella piazza della Cattedrale alle 19. Ma che stanchezza è se dopo un’ora stai già bene? È tutto così strano! Piano piano i letti vengono occupati. Conosco quasi tutti. I baci e gli abbracci continuano. I “Come mai?”, i “Perché?” in una confusione di lingue che mette allegria. A che serve parlare? Lo sguardo e il cuore dicono tutto! Nel pomeriggio si va tanti, tutti insieme, sempre a Santiago città: altri 3 km. Nell’ufficio con la credencial. La controllano. Ti chiedono conferme. “Sempre a piè? I timbri sono originali?” Infilano questa cartella piena di timbri in un computer e ne esce la tanto ambita Compostela, quasi un documento scritto in latino per confermare la tua fatica. Ne siamo molto orgogliosi. Il nostro nome in latino ci sembra bellissimo: Gabriella = Gabrielam, Heinz = Enricum, ecc. ecc. Sul sagrato bagnato, con un vento fortissimo, c’è un giovane ragazzo tedesco che ha fatto tutto il pellegrinaggio vestito di un saio e coi sandali per un voto. Fa il giocoliere con cordicelle colorate. Poi arriva Conrad con la tromba (il suo bastone è un congegno strano fatto da lui), l’ha suonata dopo la messa per onorare El Señor! È in giro da quattro mesi. Penso che cosa sarebbe questa piazza di pietra nera senza le nostre emozioni. Tanto ricevi, ma tanto dai. Il brindisi per salutare Nelly e Pascal è un po’ triste, come tutti gli addii. Domani tornano a casa. Io voglio arrivare a Finisterre e come tanti altri resterò in Santiago. Ancora un giorno sperando che smetta di piovere. Seduta sul mio letto scrivo e osservo. Siamo dimagriti tutti di almeno 5 chili, ma la nostra persona sembra avvolta in una luce. La musica del Camino ci fa ricordare dove siamo e che siamo fortunati ad essere qui. Alle 23 si spengono le luci e tutti a dormire. Finalmente siamo solo pellegrini! Decido che la pietra che mi è stata consegnata a Lourdes dai Bellunesi, raccolta sul greto del Piave, resterà qui. Non conosco posto migliore di questo albergue dive si prendono cura di te come fossi un bambino. La struttura non è granché. Sul soffitto corrono grossi tubi di scarico che gorgogliano continuamente ma, visto che li hanno camuffati con malta grezza, facciamo finta che siano medioevali. Lungo le pareti corrono file di capi ad asciugare. C’è una sala con tavoli e panche dove i ragazzi preparano le loro insalate condite solo con noci e castagne raccolte lungo il Camino. Si sa che non è la realtà della vita, ma intanto qui impari a dare valore alle cose semplici: ad una carezza, un gesto, uno sguardo. Sfumature! Quanti baci e abbracci quando ti conosci, ti lasci, ti ritrovi e poi ci sono gli inevitabili addii. Ma qualcuno più di altri mi resterà nel cuore! |
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