Il Cammino di Santiago può morire di successo?
- di Antón Pombo giovedì 22 dicembre 2022
- (leggi l'articolo originale)
Già da molto tempo alcune persone molto legate al Cammino, tra cui Paolo Caucci e José Antonio de la Riera, hanno cominciato a utilizzare l'espressione “morir di successo” per metterci in guardia su quello che potrebbe accadere al cammino giacobeo in futuro. Il motivo di questa espressione, molto nota e naturalmente paradossale, è nato a causa dell'ossessione di tradurre in numeri il successo del cammino, che ha battuto record dopo record, fino al crollo dovuto all'arrivo del Covid.
Un'espressione che non nasce dal pessimismo ma come semplice conseguenza dello sfruttamento turistico e commerciale che ha già causato danni a Venezia, sul Machu Picchu, sull'Everest, o, senza andar troppo lontano, sulle isole Cìes.
Per quanto riguarda gli amministratori pubblici, che sono coloro che posseggono le competenze e le mettono in pratica con il pugno di ferro, hanno sempre basato il loro ottimismo su un fatto storico: il pellegrinaggio compostellano esiste già da dodici secoli e, salvo alcuni periodi negativi dovuti a circostanze particolari, ha sempre resistito contro venti e maree come una roccia.
E' vero che il perpetrarsi di questo cammino verso una tomba apostolica è un fenomeno quasi unico di perseveranza nel corso dei secoli, ma è altrettanto vero che ci sono state delle fasi di crisi, alcune lunghe e profonde come per esempio verso la fine del Medioevo, durante il periodo della Riforma, e soprattutto durante il XIX secolo e gran parte del XX secolo. Pertanto, se è vero che può resuscitare, non significa che sia esente dal soffrire lunghi periodi di difficoltà.
In ogni caso, il modello di sfruttamento intensivo, a tutti gli effetti di breve termine e carente di una pianificazione sostenibile, porta ai ben noti scenari derivanti dalla legge della domanda e dell'offerta, tanto più quando il Cammino è entrato nelle pericolose dinamiche della moda: perdita dei valori che lo hanno reso così attrattivo, arrivo di altri competitors e di imitazioni, progressiva svalutazione ed esaurimento del marchio, disgusto da parte di coloro che abitano sul Cammino e che non traggono un beneficio diretto dalle sue ricadute economiche, e turismofobia (in questo caso pellegrinofobia), con conseguente abbandono e ricerca di altri itinerari da sfruttare.
Il risveglio della “Voce della Galizia”
Il giornale più letto e influente della Galizia, terzo in Spagna per diffusione, sembra aver scoperto l'acqua calda, e recentemente ha pubblicato due articoli su questo tema con il titolo: “Può morir di successo il Cammino di Santiago?”
Per stimolare il dibattito il giornale ricorre a un'imitazione della disputa nella scolastica medievale, o se si preferisce a un dibattito tra giansenisti e gesuiti, una disputa che ci rimanda al dualismo poliziotto buono, poliziotto cattivo: uno difende una posizione, anche se non ne è realmente convinto, e l'altro più o meno la critica, almeno scrivendo sul giornale.
A criticare la situazione attuale è un noto personaggio, Cristobal Ramìrez, il quale, a partire dagli anni '90 ha dimostrato un interesse particolare per il Cammino di Santiago presiedendo per molti anni l'Associazione dei giornalisti e degli scrittori del Cammino di Santiago (APECSA).
Preceduto da un sintetico e semplificato riassunto della rinascita giacobea iniziata dalla fine del XX secolo, in cui il nome di Elías Valiña non compare da nessuna parte, dimenticanza sorprendente essendo l'autore un galiziano, e dei presunti elementi che hanno portato al successo detto cammino (l'essere un tracciato storico, spirituale e ricco di valori), le sue argomentazioni per avvisare del fosco avvenire che attende il Cammino si incentrano sull'individuazione di quattro pericoli:
• La visione a breve termine e l'ossessione di battere record
• Concepire il Cammino come un prodotto turistico
• l'inarrestabile moltiplicarsi dei cammini giacobei
• l'arrivo degli influencers
La sua ricetta per evitare la sconfitta è: attenzione, rivediamo questo modello prima che sia troppo tardi!
Dall'altra parte del ring, Maria Elvira Lezcano, professoressa della scuola di turismo dell'Università di La Coruna, forse sconvolta dalle notizie che abbiamo conosciuto quest'anno sull'irritazione di molti pellegrini compostellani, manifesta un ottimismo alla Rousseau, di questo si tratta, riponendo fiducia nella natura benevola dell'uomo. Il suo tono è palesemente idealista quando parla di concetti come la felicità del viaggio e la responsabilità sociale, confidando in uno sviluppo positivo in termini di sostenibilità del Cammino.
A nostro avviso, tanto per rimanere ancorati alle retorica della retorica accademica e dei suoi metodi, la professoressa parte da un errore di base: equiparare il pellegrinaggio a una forma di turismo religioso o spirituale. Di fatto nella sua analisi il pellegrino è un turista, punto e basta:
“Che il Cammino di Santiago costituisca un elemento turistico è un dato di fatto, così come è un dato di fatto che coloro che lo alimentano appartengono al settore turistico, qualunque sia la loro motivazione, e infatti di solito si tratta di persone che hanno abbandonato momentaneamente il loro luogo di residenza per spostarsi in un altro per differenti ragioni.”
Questa concezione è sicuramente la radice dei molti mali che colpiscono attualmente il Cammino, perché coloro che consigliano i nostri politici non sono le Associazioni degli amici del Cammino di Santiago, che in questo nuovo millennio fungono da mere comparse, ma bensì i tecnici e gli esperti del turismo, e sicuramente pure le lobbies degli albergatori. Tutti loro, applicando criteri economici e di gestione imprenditoriale, impongono linee guida e disegnano i piani di gestione del Cammino da molto tempo, che nessuno si sbagli su questo.
Tuttavia risulta curioso come dopo aver proposto questa visione turistica del Cammino la professoressa non applichi alla lettera quanto esposto e di fatto risulti preoccupata per le sirene d'allarme che sono suonate questa estate nella zona di Compostela da parte di una comunità stufa dei pellegrinaggi massificati e rumorosi che non hanno nulla a che vedere con quell'invasione che aveva immaginato Valiña dai Pirenei.
E in difesa della comunità che accoglie i pellegrini, dimenticando il suo ruolo di poliziotta cattiva, la nostra professoressa sembra aderire alla causa dei critici, concordando sul rischio di un deterioramento sociale e della perdita d'identità del Cammino di Santiago (degli altri cammini non si parla) perché non tutto può essere sacrificato in nome dell'interesse del turismo.
Inoltre la professoressa si scaglia contro gli Instagramers e in conclusione punta più sulla qualità che non sulla quantità che produce solo un turismo di massa e irrispettoso. Regolare il flusso, stabilendo regole precise e cambiando la modalità di promozione del Cammino può essere la soluzione.
Meglio tardi che mai
La nostra conclusione è che in realtà non c'è stato dibattito perché entrambi i pareri, pur essendo partiti da punti diversi sono giunti alla stessa constatazione. Ma quello che ci sorprende di questo dibattito non è tanto la sua utilità, forse scaturito da un'estate particolarmente affollata di pellegrini, quanto il cambio di linea editoriale del giornale in questione.
I media hanno la loro parte di responsabilità su quello che sta succedendo intorno al Cammino, perché in molti casi hanno consapevolmente taciuto dei problemi, propinandoci una visione idillica e felice di tutto quello che succede, spesso perché essi stessi sono ostaggi di sponsorizzazioni, sovvenzioni, pubblicità eccetera.
Ora, dopo tanti anni passati a comportarsi come devoti palmieri e applaudendo a ogni record di presenze superate, i giornalisti sembrano essere cascati da cavallo, folgorati sulla via per Damasco.
Lo stesso giornalista che adesso pronostica la catastrofe che si avvicina, fino a poco tempo fa bollava come “anti galiziani” coloro che chiedevano al capitolo di Santiago di modificare la dannosa regola di consegnare la Compostela a tutti coloro che avevano percorso a piedi gli ultimi 100 chilometri.
E' apprezzabile che adesso questo giornalista si sia posto in prima linea, da vero e proprio convertito, come il più duro censore della politica turistica giacobea della Giunta di Galizia.
Non è mai troppo tardi per accorgersi di un pericolo, anche se in questo caso la questione è già stata sollevata da molti anni, non si tratta di un fenomeno recente e nessuno qui è nato ieri. In ogni caso sarà meglio recuperare il tempo perduto, come direbbe Proust.